|
"IL RIBELLE"
Alain de Benoist, personalità che non ha certo bisogno di presentazioni. Il teorico di quella che nei primi anni ‘80 fu ribattezzata dai media Nuova Destra è ormai da anni, sulla scorta dell’insegnamento jüngeriano, impegnato in un proprio percorso di dissidenza intellettuale, che in un paese culturalmente conformista come la Francia significa sostanzialmente la morte mediatica. Il ribelle di de Benoist è una figura che non ha l’istintività effimera del rivoltoso o il fanatismo ideologico del rivoluzionario.
«Il ribelle - dice - è ribelle perché ogni altro modo di esistere gli è impossibile. Il resistente cessa di resistere quando non ha più i mezzi per farlo. Il ribelle, anche in prigione, continua ad essere un ribelle. Ecco perché se può dirsi perdente, non può mai dirsi vinto. Non sempre i ribelli possono cambiare il mondo. Ma mai il mondo potrà cambiare i ribelli. Il ribelle può essere attivo o contemplativo, uomo di cultura o d’azione. Sul piano strategico, può essere leone o volpe, quercia o canna. Ci sono ribelli di ogni sorta, e ciò che hanno in comune è una certa capacità di dire no. Il ribelle è colui che non cede, colui che rifiuta, colui che dice: non posso. È colui che disdegna ciò che cercano gli altri: gli onori, gli interessi, i privilegi, il riconoscimento sociale. Al tavolo da gioco, è colui che non gioca. Lo spirito del tempo scivola su di lui come pioggia sui vetri. Spirito libero, uomo libero, per lui non c’è nulla al di sopra della libertà».
Ma contro che cosa ci si deve ribellare al giorno d’oggi? Qual è il nuovo volto del Leviatano ai tempi della globalizzazione? La risposta di de Benoist è chiara:
«Di fronte all’ascesa del pensiero unico, di fronte al gonfiarsi di un’onda straordinaria di ciò che non esitiamo a chiamare il conformismo planetario, di fronte alle diverse patologie che affliggono le nostre società, di fronte alle varie minacce che su di esse gravano e che oscurano il loro avvenire, non c’è che l’imbarazzo della scelta. Mi sembra tuttavia che la maggior parte di questi fenomeni ai quali tentiamo di opporci abbia una causa comune. Mi sembra cioè che questi fenomeni si rivelino come conseguenze di un’ideologia ben precisa, secolare e multiforme, che propongo di chiamare “l’ideologia dell’Identico”».
Un meccanismo omologante rispetto al quale occorre ribadire con forza la necessità e la bellezza di un mondo articolato su mille differenze. Cominciando col tracciare interiormente la prima e più importante delle differenze: quella tra sé e il mondo di coloro che nuotano secondo la corrente. Perché fra il grigio delle pecore, amava dire Jünger, si celano ancora i lupi.
Storia di una infamia
Un tradimento che Noi non dobbiamo dimenticare
05.06.09 - Adam Smith era un filosofo scozzese che possiamo definire l’alfiere del liberismo economico: cioè quella dottrina di economia politica secondo la quale lo Stato non deve intervenire direttamente sull’attività economica per regolamentarla. Volendo fissare una data questa può essere indicata intorno al 1830. E allora: 1995 meno 1830 è uguale a 165; cioè centosessantacinque anni. Il lettore penserà che sto dando i numeri.
No! E invece sì. Allora, seguitemi.
1830: nascita del liberismo.
1995: infamia di Fiuggi.
Con il 1830 nasce la dottrina del niente Stato in economia, con il 1995 si decreta la morte del Fascismo, il quale nella sua filosofia prevedeva il controllo dello Stato (anche) sull’economia. Quindi esattamente il contrario di quanto sostiene il liberismo. Di conseguenza nel 1995 si pretese la messa a morte del Msi che, notoriamente si presentava, fra errori e forzate necessità, come continuazione della filosofia fascista.
Dimentichiamo, ma solo per un attimo, il solenne giuramento fatto dal capo degli infami sulle bare di Almirante e di Romualdi di essere l’artefice del Fascismo del XXI Secolo, e torniamo a Fiuggi. Gli innovatori sostengono che con quel Congresso si è fatto un salto in avanti, verso il futuro, cioè si è data vita ad una Destra moderna e, a dimostrazione di questa novità, hanno ripescato le teorie del liberale in politica e liberiste in economia.
165, ecco il numero: hanno tirato fuori dal cilindro una dottrina una dottrina vecchia di centosessantacinque anni, presentandola ai gonzi come moderna e del futuro.
Gli autori della mascalzonata di Fiuggi hanno usato l’abilità di Hudini, la scaltrezza di Al Capone, la mano assassina di Moranino e la scelleratezza di Badoglio. Ma l’arma vincente fu soprattutto il nemico giurato del Fascismo: la Massoneria.
Era il 1993 (più o meno), allora non mi interessavo più di politica – almeno in senso attivo – e le mie idee erano rimaste immutate sin da quando, nel 1948 mi iscrissi al MSI partecipando attivamente alla vita del Movimento. Ripeto, era il 1993 e si cominciava a sentire il fetore di Fiuggi. Ricordo che si doveva essere vicini a qualche consultazione elettorale, quando lessi che Giulio Maceratini era al bar Ruschena, a Lungotevere dei Mellini, a disposizione di chiunque volesse incontrarlo. Andai e gli esposi i miei timori e perplessità. Egli mi rispose all’incirca: <Mio padre sul letto di morte mi fece giurare che con i primi soldi guadagnati avrei fatto un monumento a Mussolini>. Me ne andai rassicurato.
1994 (chiedo perdono per l’eventuale inesattezza delle date, ma i fatti sono precisi): eravamo in riunione con Giorgio Pisanò e altri nell’albergo Santina, in Via Marsala a Roma, quando piombò nella sala Alessandra Scivolone, la quale, quasi piangendo ci disse che, a causa del suo cognome (Mussolini), Gianfranco Fini la stava emarginando dal partito, ma lei era <mussoliniana sin nelle ossa> (parole esatte).
Poco sopra ho accennato al nemico giurato del Fascismo, la Massoneria. Ho sotto gli occhi una rivista: Massoneria oggi – Organo del Grande Oriente Italiano, e leggo che <il 24 settembre 1994 (attenzione alle date, nda) si è svolto a Roma, nel parco della Villa Il Vascello la cerimonia annuale del Grande Oriente d’Italia, in occasione dell’Equinozio d’Autunno. Alla cerimonia hanno partecipato circa mille Fratelli (…). La cerimonia si è aperta con un concerto dell’orchestra massonica Sarostro, diretta dal Maestro (…)>. Ma adesso viene il bello, fra i tanti nomi noti (On. Irene Pivetti, On. Antonio Martino ecc., dei quali non ce ne potrebbe fregar niente), brillavano per la loro presenza, indovinate chi? Sì, alcuni fra i più alti esponenti del morituro MSI. Riprendo la lettura: <Sen. Giulio Maceratini, Presidente Gruppo AN/MSI al Senato (…). On. Poli Bortone (quella del “mi spezzo ma non mi piego”, nda), Ministro delle risorse Agricole, On. Publio Fiori, Ministro dei Trasporti e della Navigazione (…)>. Allora prende sempre più forma quanto poco sopra ho indicato, e cioè il richiamo ai vari Hudini, Al Capone, Moranino, Badoglio.
Mi chiedo e chiedo: perché poco prima di Fiuggi Gianfranco Fini ha imbarcato nel MSI tante cariatidi della Democrazia Cristiana. E’ ovvio, per sfascistizzare il MSI, altrimenti quale motivo hanno spinto quegli esseri poco raccomandabili (Gianfranco Fini, Gianni Alemanno, Ernesto La Russa ecc) a raccattare e imbarcare nel MSI, partito notoriamente fascista, personaggi del calibro di un Publio Fiori, di un Gustavo Selva e così di seguito, gente che con il fascismo non avevano nulla a che vedere?
Non posso dimenticare la dichiarazione di quel signore (Publio Fiore) rilasciata a La Stampa qualche tempo fa: <Dobbiamo dimostrare di essere cambiati veramente (a me sembrate sempre gli stessi se non peggio, nda) di aver rotto con il fascismo. Superando l’ultimo tabù: non basta condannare, come si è fatto sinora, i delitti commessi dal fascismo (?), bisogna condannare chi ha commesso quei delitti: Benito Mussolini>. E no! Non ci stò. E allora chiamo in causa il principale autore di quella mascalzonata, avvalendomi anche di un articolo della brava Ercolina Milanesi che ha ricordato i precedenti di Gianfranco Fini. Questi, oltre al citato giuramento compiuto dinnanzi alle bare di Almirante e Romualdi, il 19 agosto 1989, affermò: <Credo ancora nel Fascismo, sì, ci credo. Nessuno può chiederci abiure della nostra matrice fascista>. Il Giornale, 5 gennaio 1990: <Mussolini è stato il più grande statista del secolo>. 30 settembre 1992: <(…). Chi è vinto dalle armi ma non dalla storia è destinato a gustare il dolce sapore della rivincita (…). Dopo quasi mezzo secolo, il fascismo è idealmente vivo>. Giugno 1994, La Repubblica: <E’ sempre il fascismo il nostro sogno>. La Nazione: <L’antifascismo non fa per noi>. L’Eco di Bergamo: <Via la muffa dal fascismo>.
Poi, improvvisamente il nostro ha definito il fascismo, male assoluto. A prescindere dalla stupidità dell’espressione, cosa era avvenuto nella mente del discepolo di Almirante? La risposta la fornisce Giorgio Pisanò che ben conosceva il personaggio, risposta ricordata sempre da Ercolina Milanesi: <Riconosciamo a chiunque il diritto di modificare le proprie opinioni e trarne le debite conseguenze. Quello che non riconosciamo a nessuno è il diritto di imbrogliare il prossimo e di sfruttarne spudoratamente e cinicamente gli entusiasmi, la fiducia, le speranze, per farne lo strumento di trasformismi finalizzati alla conquista di posizioni di potere. Solo i cretini e i complici in malafede possono oggi ancora sostenere che i comportamenti e gli atteggiamenti politici di Fini, quello che dice a proposito e a sproposito di Mussolini e del Fascismo, siano la manifestazione di una astutissima operazione tattica (…). Fini e compagni hanno pensato, e ci sono riusciti, di imbrogliare e sfruttare i fascisti per arrivare al potere. E adesso mirano all’ultima fase dell’operazione: quella che deve puntare all’annullamento del Msi nel calderone liberaldemocratico di An, preludio del travaso finale di tutta la banda Fini nella Forza Italia di Berlusconi>.
E’ veramente impressionante l’analisi di Giorgio Pisanò se si pensa che egli scrisse questo nel 1994 e tutto si è realizzato: Gianfranco Fini ha liquidato il Msi, ha liquidato An per confluire nel calderone liberaldemocratico di Berlusconi, pronto per liquidare anche quest’ultimo.
Gianfranco Fini: utilizzando le tecniche degli Hudini, degli Al Capone, dei Moranino, dei Badoglio, è il Grande Liquidatore. Un essere di insaziabile ambizione, senza morale, senza onore, senza decoro. Insomma senza niente, ma caricato di una demoniaca capacità di distruggere tutto.
La culla del diritto esplose a Via Rasella
di Filippo Giannini
Perché? Sì, perché proprio il 23 marzo 1944? Fu forse una “fortuita coincidenza”? Leggo alcuni titoli sui giornali in occasione della “cattura di Priebke”: “Via Rasella, un attentato inutile”; “Perché gli attentatori non si presentarono?”. Ebbene non fu “un attentato inutile”: gli attentatori NON DOVEVANO presentarsi e non fu “una fortuita coincidenza”, fu una diabolica, lucida operazione timbrata falce e martello e portata a termine per la cieca rigidità germanica. Non fu un caso che la “giunta militare” del Cln, i cui capi erano Riccardo Bauer, Giorgio Amendola e Sandro Pertini, ordinasse l’attentato di via Rasella proprio QUEL GIORNO, perché “quel giorno” era l’anniversario della fondazione dei Fasci di Combattimento e l’obiettivo dell’attentato doveva essere la grande manifestazione fascista al Teatro Adriano di Roma. “Doveva essere”, ma non fu: questo obiettivo fu scartato perché certamente i fascisti, qualunque fosse stato il danno subito, mai avrebbero dato seguito a quella rappresaglia cui la “giunta militare” mirava. Era necessario un attentato tanto pesante da far saltare i nervi ai tedeschi. Quel che comportò è noto a tutti, anche se la verità sulla causa e sugli effetti è ancora oggi falsata. Ecco perché gli attentatori NON DOVEVANO presentarsi, se lo avessero fatto, addio Cave Ardeatine, addio lacrimuccia versata dal “Presidente più amato dagli italiani” e dai suoi predecessori e successori, quando senza ritegno alcuno sono andati e vanno ad offendere con la loro presenza, una volta di più, le vittime cheriposano nel Sacrario senza pace e senza giustizia. Tutti ricorderanno come questa squallida vicenda si è sviluppata fino ad oggi: giudici che assolvono un imputato, un gruppo di scalmanati che si ribella ad una sentenza, un ministro della Giustizia, Flick, che si precipita al Tribunale e invece di prendere le parti dei giudici, come sarebbe stato suo preciso dovere, annulla la sentenza (è inaudito) e ordina l’arresto dell’imputato assolto. E’ ignominioso che un vecchio sia stato “scoperto” criminale dopo cinquant’anni dai fatti, un vecchio che tutti sapevano dove fosse, un vecchio che era già stato due volte in Italia con regolare passaporto; è ignominioso, altresì, che sia stato sottoposto a giudizio due volte, imbrattando il basilare principio giuridico, dato che un uomo non può essere processato due volte con la stessa imputazione. (In)giustizia è fatta! A via Rasella è morta la “Giustizia” ed è seppellita alle Cave Ardeatine!
|
|
|